L’India ora è "padrona" in Inghilterra Tata compra Jaguar e Land Rover

ENRICO FRANCESCHINI




Sembra la vendetta della storia, o forse uno scherzo del destino: la più grande excolonia britannica, l’India delle vacche sacre e dei risciò, i cui figli per generazioni sono emigrati a Londra per gestire candy store, i negozietti dove si comprano giornali, sigarette, dolciumi, ora sta per acquistare Jaguar e Land Rover, due gemme dell’industria del Regno Unito, due marche simbolo del lusso. A un’occhiata più attenta, il paradosso regge solo fino a un certo punto: l’India, trasformata dalla globalizzazione, è avviata a diventare insieme alla Cina uno dei giganti economici della terra; e la Gran Bretagna, passata dalla rivoluzione industriale all’economia finanziaria e dei servizi, ha già venduto a proprietari stranieri le sue leggendarie case automobilistiche.
Non è da un fabbricante d’auto inglese che l’indiana Tata Motors si propone di comprare la Jaguar e la Land Rover, bensì dalla americana Ford, che aveva rilevato i due mitici brand un decennio fa, nel momento in cui sull’economia britannica era sceso il vangelo di Blair, erede della Thatcher: "Non importa di chi sia la proprietà di un’azienda, importa che l’azienda sia sana". Poiché le fabbriche di Jaguar e Land Rover sono rimaste (almeno in parte) in Inghilterra, poiché vi lavorano operai britannici, poiché sono economicamente sane, si può dire che la scommessa di Blair ha funzionato.
Ciononostante, l’affare fa sensazione. E solleva, per il momento, anche qualche dubbio. In primo luogo, per il prezzo. La Tata, secondo indiscrezioni, pagherà alla Ford una cifra intorno ai 2 miliardi di dollari per Jaguar e Land Rover. Per metterli insieme, il conglomerato indiano sta cercando di ottenere un prestito da un consorzio di nove banche internazionali, comprendente fra le altre Citigroup e JPMorgan. Alcuni analisti ritengono che, in questo modo, la Tata assuma sulle sue spalle un indebitamento troppo pesante. «Sebbene nel lungo termine l’operazione abbia senso commenta Ashutosh Goel della Edelweiss Capital di Mumbai potrebbe essere un boccone troppo grosso da inghiottire. Le passività ereditate con l’acquisizione saranno enormi». Ma il gruppo è in attivo, i profitti sono cresciuti del 21 per cento nella prima metà di questo anno fiscale, per un totale di 253 milioni di dollari.
In secondo luogo, ci sono dubbi sulla possibilità di integrazione fra "brand" così diversi. I concessionari della Jaguar negli Usa, ad esempio, hanno espresso preoccupazioni che una proprietà indiana diminuisca il valore del loro prodotto. La Tata produce trattori, camion e ha appena lanciato la "People’s Car", l’Auto del Popolo, l’utilitaria più economica del mondo, la Tata Nano, che costerà soltanto 2500 dollari, un ventesimo del prezzo della Jaguar più economica. Ma la Tata è piena di simili contraddizioni, che finora non sono state un problema. Possiede la catena di alberghi di lusso Taj Hotels (3000 dollari a notte nelle suite di lusso) ma sta costruendo motel turistici con stanze da 30 dollari a notte. Ancora: la Tata ha una catena di gioiellerie d’alto bordo ma produce fertilizzanti. Ha una flotta di aerei per businessmen, ma anche un canale televisivo ultrapopolare. E così via.
«I nostri piani sono mantenere l’immagine di questi due marchi e applicare la nostra filosofia per farli crescere», ha detto Ratan Tata, il presidente del gruppo, al recente Salone di Ginevra. «Chiunque riesca a conquistarli ha una responsabilità globale di farli crescere. Rispettiamo la cultura che sta dietro Jaguar e Land Rover. Non pensiamo ad alcun outsourcing, le fabbriche resteranno in Gran Bretagna. In tutte le società che acquistiamo continuiamoi a mantenere lo stesso managment, affiancandogli un board che lo aiuta ad applicare il nostro sistema di valori, la nostra etica e una buona chimica tra le persone. Queste saranno due aziende britanniche, la cui proprietà appartiene a un gruppo straniero, tutto qui».



fonte http://www.repubblica.it/

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