In India, dalla capitale alle terre dei Maharaja

Da Nuova Delhi al Rajasthan, lo stato dei Maharaja, ci si può spostare in tre modi: in aereo, in treno o in macchina. Se il primo è il più veloce, il secondo e il terzo permettono al turista di osservare con i propri occhi il vero stile di vita dell’indiano medio. Il tipico viaggio in Rajasthan prevede tre tappe: spostamento in aereo su Jaipur e trasferimenti in macchina a Jodhpur e Udaipur.

Panorama.it, invece, propone un percorso alternativo, più vario e autentico. Partendo dalla stazione di Nizamuddin, a Delhi, si arriva dopo 5-6 ore a Ranthambore, una cittadina famosa per il Parco Nazionale in cui vive la maggior parte della fauna locale: tigri, cinghiali, sciacalli, cervi, cerbiatti, scoiattoli e scimmie. I safari nel parco si possono fare sia la mattina che il pomeriggio, ma è consigliabile non farsi prendere dalla fobia di fotografare la tigre e programmare, in alternativa, una passeggiata sia in città che al mercato del bestiame. Per l’alloggio, si può scegliere tra una confortevole sistemazione negli hotel di lusso e quella più spartana nelle tende del Ranthambore Bagh.

Da qui, è opportuno noleggiare una macchina per spostarsi a Pushkar, la città degli hippy. I tempi di trasporto, come a Delhi, sono molto lunghi. Esiste un’autostrada, ma di fatto il traffico è sovente rallentato dai pedoni che la attraversano e dai carri trainati da asini, cammelli e buoi.
L’atmosfera di Pushkar rispecchia in pieno lo stereotipo in genere associato alle comunità hippy: il lago su cui si affaccia l’intera cittadina sembra racchiudere i mille segreti degli stranieri, principalmente francesi e israeliti, che tutti i giorni si ritrovano sulle sue sponde per improvvisarsi giocolieri o ballerini di danza indiana.

La tappa successiva è Udaipur, famosa per i parchi e palazzi reali, ma anche per gli argenti e l’artigianato. È una città iper caotica, dove è possibile ritagliarsi un momento di pace solo negli spazi creti apposta dagli albergatori per i propri clienti.

A Delhi si può rientrare facilmente in macchina: sia Pushkar che Udaipur sono piene di agenzie turistiche che offrono tariffe competitive. Per farsi un’idea, il viaggio da Udaipur a Delhi non costa più di 8000 Rupie, 165 Euro circa. Tuttavia, per riposarsi prima di rientrare nella capitale, suggeriamo, sulla via del ritorno, di fermarsi a Deogarh: il villaggio è molto piccolo, e nelle campagne circostanti si susseguono l’una dopo l’altra “fabbriche” di mattoni di fango prodotti artigianalmente dalle singole famiglie. Esiste un solo albergo, il Deogarh Mahal: un antico palazzo dell’epoca dei Maharaja ristrutturato e trasformato in un vero e proprio paradiso, la versione indiana del resort sul mare.


fonte http://blog.panorama.it

Hockey prato: India fuori dai Giochi

Prima assenza dopo 8 medaglie d'oro, eliminata da Gran Bretagna

10 marzo 2008

Per la prima volta dal 1928 l'India non sara' nel torneo olimpico di hockey: ha perso 2-0 contro la Gran Bretagna nelle qualificazioni. E' come se il Brasile non si qualificasse per i mondiali di calcio. L'India infatti e' il gigante dell'hockey prato: dalla prima partecipazione ai Giochi di Amsterdam ha vinto 8 ori. E' il segno di un declino. 'E' un disastro - ha detto l'ex campione Ashok Kumar - e' come avere un morto in famiglia. Non e' pero' il guaio di un giorno, ma di un decennio'.

fonte http://www.raisport.rai.it/

Card. Gracias: “Donne, è arrivato il vostro momento”

di Nirmala Carvalho
Per il cardinale l’India è pronta a un maggior ruolo delle donne. Ma occorre cambiare un’antica mentalità e garantire a tutte migliori garanzie sanitarie e possibilità di istruzione.


New Delhi (AsiaNews) – “Nella Giornata mondiale della donna voglio dire a tutte: Prendete il posto che vi spetta nella società, è arrivato il vostro momento”. Il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India, parla ad AsiaNews delle conquiste fatte e del cammino da compiere perché le donne indiane superino pregiudizi atavici.

Il cardinale si dice “prudente” sugli esiti del progetto del governo di dare 3mila dollari alle famiglie povere per ogni figlia femmina, al fine di combattere la diffusa pratica di aborti e infanticidi di bambine, che soprattutto nelle zone agricole sono viste come un peso economico. Osserva che “non è facile che una legge cambi la mentalità sociale e temo che possa essere sfruttata da persone senza scrupoli. Per dare una vera possibilità di miglioramento alle donne rurali, è invece essenziale aprire scuole primarie vicine a loro, aumentare i centri sanitari e dare maggiore assistenza medica a donne e bambini”.

“Occorre intervenire sulla mentalità sociale, per la quale la figlia sin da bambina è considerata e trattata da inferiore e subordinata agli uomini”. Per migliorare lo status della donna, si deve “permetterle un miglioramento della sua istruzione e capacità economica”.

In questo la Chiesa è attiva, “con plurime iniziative per l’istruzione, la salute e per consentire alle donne di meglio organizzare” la propria vita. “Nel Paese sono gestite da cristiani il 20% degli istituti di istruzione primaria, il 10% dei programmi sanitari, il 25% dei centri di assistenza per orfani e vedove e il 30% di quelli per i portatori di handicap e i malati di Aids e lebbra”.

Nel 20mo anniversario della Lettera di Papa Giovanni Paolo II “Mulieris Dignitatem”, sulla Dignità e la vocazione delle donne, la Conferenza episcopale ha scelto come tema della sessione plenaria il “Miglioramento delle donne nella Chiesa e nella società”.


fonte http://www.asianews.it/

India e Nepal bloccano le manifestazioni tibetane anti-Cina

di Nirmala Carvalho
Delhi ferma la “marcia di ritorno” da Dharamsala dei tibetani in esilio: “Viola gli accordi secondo cui non devono svolgersi manifestazioni anti-Cina”. Kathmandu arresta 130 attivisti. E a Lhasa decine di bonzi arrestati perché protestavano pacificamente.


Dharamsala (AsiaNews) – Sulla questione tibetana ancora una volta vince la diplomazia sul rispetto dei diritti umani. Le manifestazioni pacifiche organizzate ieri da tibetani in esilio e in patria sono state bloccate e hanno portato all’arresto di decine di monaci. I manifestanti volevano, in diversi modi, ricordare così l’anniversario della repressione della rivolta dei tibetani contro l’esercito cinese occupante nel 1959.

A Dharamsala, India del nord, gli agenti hanno bloccato centinaia di tibetani impegnati nella “marcia di ritorno” verso il Tibet. Qui avevano intenzione di arrivare i primi di agosto, in segno di protesta contro l'occupazione cinese della regione himalayana e lo svolgimento dei prossimi Giochi olimpici a Pechino. Il capo della polizia di Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, ha spiegato che un ordine da New Delhi vieta ai manifestanti di lasciare l'area. Secondo le autorità indiane, l’iniziativa “viola l’intesa tra il governo e il Dalai Lama secondo la quale sul territorio dell’Unione non si sarebbero svolte attività politiche contro la Cina”. Tsewang Rigzin - presidente del Congresso dei giovani tibetani, tra gli organizzatori della marcia – spiega ad AsiaNews: “Siamo grati dell’ospitalità all’India, ma rimane il fatto che siamo dei rifugiati che vogliono tornare a casa, alcuni di noi sono nati in esilio ed è così emozionante pensare di toccare il suolo tibetano per la prima volta. Nonostante la Cina, la nostra resistenza continuerà”.

A Boudhanath, uno dei più grandi templi buddisti del Nepal, nella capitale Katmandu, la polizia ha sparato gas lacrimogeni per fermare circa 500 persone che volevano dirigersi verso l’ambasciata cinese per protestare. Negli scontri sono stati arrestati 130 attivisti.

Stesse scene a Lhasa, in Tibet. Qui, secondo Radio Free Asia, 300 monaci hanno marciato dal monastero Drepung per chiedere il rilascio dei bonzi arrestati l’anno scorso dopo che il Dalai Lama aveva ricevuto la Medaglia d'oro del Congresso Usa. Le autorità hanno fermato il gruppo ad un posto di blocco e hanno arrestato tra i 50 e i 60 monaci. “Forze della polizia armata del Popolo – riferiscono i testimoni – hanno circondato i monasteri a Lhasa e dintorni”.

Pechino afferma che il Tibet è parte integrante della Cina, mentre i tibetani sostengono di essere stati indipendenti per secoli. Le frontiere della regione himalayana sono controllate dai militari cinesi che sparano a chiunque osa varcarle nei due sensi.

fonte http://www.asianews.it/

Cooperazione tra l'Unito e gli atenei indiani: Kabir Bedi incontra gli studenti

Venerdì 14 marzo alle 11, nell'Aula Magna del Rettorato in via Verdi 8 / via Po 17, "Invito dell'Università di Torino a Kabir Bedi": l'attore incontrerà il Rettore Prof. Ezio Pelizzetti e alcuni docenti studiosi di cinema e di cultura indiana. L'evento, aperto al pubblico e in particolar modo agli studenti, costituirà un'occasione di dialogo con Bedi, poliedrico protagonista di molte pellicole e testimonial d'eccezione della cooperazione tra l'Università di Torino e gli atenei indiani. L'attore parlerà anche della sua carriera e del modo di fare cinema nel suo paese. Sono previsti gli interventi di Ezio Pelizzetti, Rettore dell’Università degli Studi di Torino; Irma Piovano, Responsabile Scientifica del CESMEO, Istituto Internazionale di Studi Asiatici; Alessandro Monti, Direttore del Dipartimento di Orientalistica – Università degli Studi di Torino; Franco Prono, Docente di Cinema del Dipartimento di Discipline Artistiche, Musicali e dello Spettacolo - Università degli Studi di Torino.

L’evento sarà trasmesso in diretta streaming audio e video da 110, la webradio dell’Università, all’indirizzo www.110.unito.it.

Sono più di 60 i giovani laureati e ricercatori indiani ospiti a Torino. Molti gli accordi di cooperazione tra l'Università di Torino e gli atenei indiani, tra i tanti il Memorandum of Understanding insieme alle Università di Calcutta, Jadavpur e Rabindra Bharati; numerose le borse di studio attivate a Torino con il finanziamento del Ministero degli Affari Esteri e del Ministero dell’Università e della Ricerca, i giovani indiani usufruiscono inoltre di altri supporti allo studio grazie al contributo della Compagnia di San Paolo. Tra le discipline che coinvolgono le ragazze e i ragazzi provenienti dall’India ci sono le scienze agro-alimentari, la nano-scienza e la nano-tecnologia, lo studio e la prevenzione di catastrofi naturali, l’informatica e la matematica applicata.




Luogo di svolgimento: Aula Magna del Rettorato, via Verdi 8 / via Po 17, ore 11.


fonte http://www.unito.it/

L’India ora è "padrona" in Inghilterra Tata compra Jaguar e Land Rover

ENRICO FRANCESCHINI




Sembra la vendetta della storia, o forse uno scherzo del destino: la più grande excolonia britannica, l’India delle vacche sacre e dei risciò, i cui figli per generazioni sono emigrati a Londra per gestire candy store, i negozietti dove si comprano giornali, sigarette, dolciumi, ora sta per acquistare Jaguar e Land Rover, due gemme dell’industria del Regno Unito, due marche simbolo del lusso. A un’occhiata più attenta, il paradosso regge solo fino a un certo punto: l’India, trasformata dalla globalizzazione, è avviata a diventare insieme alla Cina uno dei giganti economici della terra; e la Gran Bretagna, passata dalla rivoluzione industriale all’economia finanziaria e dei servizi, ha già venduto a proprietari stranieri le sue leggendarie case automobilistiche.
Non è da un fabbricante d’auto inglese che l’indiana Tata Motors si propone di comprare la Jaguar e la Land Rover, bensì dalla americana Ford, che aveva rilevato i due mitici brand un decennio fa, nel momento in cui sull’economia britannica era sceso il vangelo di Blair, erede della Thatcher: "Non importa di chi sia la proprietà di un’azienda, importa che l’azienda sia sana". Poiché le fabbriche di Jaguar e Land Rover sono rimaste (almeno in parte) in Inghilterra, poiché vi lavorano operai britannici, poiché sono economicamente sane, si può dire che la scommessa di Blair ha funzionato.
Ciononostante, l’affare fa sensazione. E solleva, per il momento, anche qualche dubbio. In primo luogo, per il prezzo. La Tata, secondo indiscrezioni, pagherà alla Ford una cifra intorno ai 2 miliardi di dollari per Jaguar e Land Rover. Per metterli insieme, il conglomerato indiano sta cercando di ottenere un prestito da un consorzio di nove banche internazionali, comprendente fra le altre Citigroup e JPMorgan. Alcuni analisti ritengono che, in questo modo, la Tata assuma sulle sue spalle un indebitamento troppo pesante. «Sebbene nel lungo termine l’operazione abbia senso commenta Ashutosh Goel della Edelweiss Capital di Mumbai potrebbe essere un boccone troppo grosso da inghiottire. Le passività ereditate con l’acquisizione saranno enormi». Ma il gruppo è in attivo, i profitti sono cresciuti del 21 per cento nella prima metà di questo anno fiscale, per un totale di 253 milioni di dollari.
In secondo luogo, ci sono dubbi sulla possibilità di integrazione fra "brand" così diversi. I concessionari della Jaguar negli Usa, ad esempio, hanno espresso preoccupazioni che una proprietà indiana diminuisca il valore del loro prodotto. La Tata produce trattori, camion e ha appena lanciato la "People’s Car", l’Auto del Popolo, l’utilitaria più economica del mondo, la Tata Nano, che costerà soltanto 2500 dollari, un ventesimo del prezzo della Jaguar più economica. Ma la Tata è piena di simili contraddizioni, che finora non sono state un problema. Possiede la catena di alberghi di lusso Taj Hotels (3000 dollari a notte nelle suite di lusso) ma sta costruendo motel turistici con stanze da 30 dollari a notte. Ancora: la Tata ha una catena di gioiellerie d’alto bordo ma produce fertilizzanti. Ha una flotta di aerei per businessmen, ma anche un canale televisivo ultrapopolare. E così via.
«I nostri piani sono mantenere l’immagine di questi due marchi e applicare la nostra filosofia per farli crescere», ha detto Ratan Tata, il presidente del gruppo, al recente Salone di Ginevra. «Chiunque riesca a conquistarli ha una responsabilità globale di farli crescere. Rispettiamo la cultura che sta dietro Jaguar e Land Rover. Non pensiamo ad alcun outsourcing, le fabbriche resteranno in Gran Bretagna. In tutte le società che acquistiamo continuiamoi a mantenere lo stesso managment, affiancandogli un board che lo aiuta ad applicare il nostro sistema di valori, la nostra etica e una buona chimica tra le persone. Queste saranno due aziende britanniche, la cui proprietà appartiene a un gruppo straniero, tutto qui».



fonte http://www.repubblica.it/

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